Città liquida… una notte di pioggia mentre fluisce l’empatia

città liquida racconto il Principe

Città Liquida

Era una notte senza identità,

la città sputava pioggia continua come flebo di fisiologica nelle vene, e tutto ai suoi occhi sembrava sciogliersi come la neve del pomeriggio. Guardava imperterrito quella finestra ma la scena era sempre la stessa. Pioggia incessante, lenta, costante nella sua eterna ripetizione, quasi come se non potesse finire mai. Gli occhi gli si appannarono guardando un punto fisso, rimase incantato dal rumore della pioggia. La sua empatia non impiegò molto a far si che diventasse tutt’uno con l’ambiente esterno. Hai presente quando ti è impossibile distogliere lo sguardo dal tuo momentaneo incanto, tale che solo un elemento esterno ed improvviso possa riportarti alla realtà e spezzare l’incantesimo?

A Dylan non accadde.
Perso in quell’istante si cullava in un infinito scoramento, regalando alla sua mente immagini incredibilmente poetiche ed altrettanto inutili. Da quella finestra il panorama ai suoi occhi, lentamente iniziò a liquefarsi. I tetti delle case, gli alberi vicini, le grondaie spigolose, il marciapiede intravisto da lontano, le insegne spente e stanche, tutto iniziò a sciogliersi con la pioggia.

L’intera città divenne liquida, come la sua vita.

Immaginava quel processo inevitabilmente necessario, e sapeva di esservi ovviamente compreso, ma non prima di averne compreso il senso. Per un attimo aveva creduto di esserne immune, per un attimo un anelito di speranza l’aveva convinto che sarebbe rimasto in piedi, in quella nuova casa, protetto in un castello di carte fragile ma fiero. Si sbagliava. Faceva ormai parte di quella città, di quel panorama, di quella pioggia, e come tale ne assorbiva ogni elemento senza alcuna eccezione.


In fondo la terra è ferma, l’empatia è liquida.

Il suo piccolo mondo iniziò ad assumere quegli stessi contorni. Divenne per pochi eterni secondi parte di quel flusso che, straniero, credeva di poter rigettare. Ma Dylan era troppo bravo a scorrere, a fluire, non comandava questo suo innato talento neanche contro la sua stessa volontà.
E lì comprese.

Non aveva creato nulla, non aveva posto le basi se non di una fittizia realtà fatta di piccole rivincite personali, di gestioni pratiche, di autonomie di plastica, carta ed indifferenziata, alla luce di una ribelle consapevolezza di non poter più tornare indietro. Ma andare avanti non significa avere qualcosa per le mani.
Si sentiva svuotato.
Non aveva nulla verso cui fluire, come pioggia lungo i viali di un percorso destinato al nulla. Solo gli impegni predefiniti dal dovere sembravano dare una ragione a quella sua dimensione. Per quanto ciò potesse aver senso, almeno in teoria, questo non sarebbe bastato a vestire un abito fatto di niente. Dylan lo sapeva, ne aveva consapevolezza. Ed in quella notte senza identità, notte a lui uguale, nei secondi di una fragilità esposta, comprese di non esser arrivato neanche al punto di partenza.
Un rumore improvviso spezzò l’incantesimo.

Il ritorno dell’anima liquida dalla città al corpo

L’anima vagante tornò improvvisamente nel suo corpo. Il freddo lo punse come spine. Stropicciò gli occhi, come se si fosse appena svegliato da un incubo troppo reale. Si versò un bicchiere di vino. Aveva bisogno di un suono caldo. Si accese una sigaretta aspirando lentamente il fumo. I suoni della casa lo convinsero della sua dimensione, ma ciò non bastava.


Fidatevi quando vi dico che, per Dylan,non sarebbe stato un buon segno.

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