parte 2
Riprendo in mano nuovamente il vecchio videoregistratore. Premo il pulsante Fast Forward, “FF” o “>>” per gli amici, e per la seconda volta vedo in che scena della vita mi porterà.
Il rito della barba
Era lì poco distante, il termoventilatore sbuffava aliti di vento caldo che facevano venire sonno anche al più mattiniero dei lavoratori. Entrare in quel bagno era come entrare in un’oasi di calma in cui il tempo sembrava fermarsi, dilatarsi rispetto al ticchettio degli orologi improrogabili nella loro precisione.
Un rito ben preciso, connotato da fiumi di crema da barba, un pennello, e tanta pazienza nella ripetizione di un gesto che sembrava più un atto d’amore, che una reale necessità di morbidezza, a fronte di una barba realmente ispida e difficile da trattare.
Il figlio guardava divertito il padre, non aveva mai pensato a nulla di tutto questo, non capiva il senso di quella reale necessità di rigore e di compostezza; per lui esisteva solo un padre grande e grosso, che ogni due giorni diventava un babbo natale mezzo nudo, per togliersi la barba bianca di crema dalla faccia, in un luogo caldissimo ed ospitale.
A lui bastava.
Il gioco
Non voleva capirne i motivi, non si chiedeva il perché, voleva solo imitare qualunque gesto lo avvicinasse a quel padre tanto venerato quanto imitato, ed amato. Era un gioco, il gioco di cercare di esser più grande, attraverso gesti che si fanno senza capirne il senso. Vedeva bene il grande braccio del padre piegarsi in una strana sfera di muscoli tesi ed eseguire con precisione i gesti lenti della rasatura. Lui seguiva divertito lo strano scimmiottare del figlio, primo modello che non si aspettava mai di poter esser stato, e pensava di essere stranamente cresciuto da quando era padre, ora che rivedeva nel figlio quello che ai tempi anche lui sognava di poter diventare.
Il tempo, in effetti, era stato troppo veloce, troppo stretto nei suoi giochi fatti di consapevolezza ed incoscienza. Ricordava quando si era ripromesso di imparare a farsi per bene la barba, senza tagli o graffi sulla pelle già delicata. Il problema è che una volta imparato non aveva avuto il tempo di realizzare a cosa andasse incontro. Aveva appena imparato a farsi la barba ed a scalare le marce in modo morbido e perfetto, che già si era ritrovato un piccolo potenziale spettatore in attesa di istruzioni sulla vita che verrà. La cosa non lo sconvolse ai tempi, finché non accade:
non ti rendi conto mai conto di quanto è accaduto finché non ti trovi nella stessa situazione.
Walking on my shoes
Depeche Mode
Non c’è niente da fare. Frasi fatte, ma tutte dannatamente vere. Ogni volta che osservava quella piccola copia di se stesso e del suo grande amore, pensava di esser stato fortunato, pur non potendo fare a meno di ripensare agli attimi, ai secondi che sono stati giorni, prima della sua nascita.
Flashback << in the Fast Forward
In sala d’aspetto
Un mare di emozioni che prendevano lì, dietro la nuca: l’adrenalina a mille, la fronte sudata, il battito accelerato, l’ansia, la famiglia di lei, la famiglia di lui (il pensiero veniva impersonale ed estraneo), la vita che cambia, le aspettative, una decappottabile sulla Route 66 ed i capelli al vento, l’amore che torna, i pannolini, la morte, la fine delle uscite serali, le responsabilità, diventare esattamente come i propri genitori, l’abitudine.
Invece no, non fu così.
Quando lo tenne per la prima volta nella sua enorme mano, scoppiò a piangere come se a nascere fosse stato lui. Quel piccolo essere era lui, era suo, era la speranza della vita nel tempo, era la fine dell’ egoismo, era una vita da creare, la versione 2.0, l’unica cosa buona che aveva fatto in tutta la sua vita.
Gli sussurrò poche parole con la voce rotta dal pianto:
«ti racconterò le favole più belle al mondo, sogneremo insieme».
Il suo grande amore era lì, sconvolta e felice, ma riuscì comunque a sentirlo. Prestava sempre enorme attenzione alle sue parole, sapeva che per lui erano importanti. Lo tirò a sé con forza improvvisa, incurante di tutto, per abbracciarlo forte. Per un momento lei si senti 2 volte madre, e ne fu felice. Prima di tornare guerriera un’ultima confessione:
«Sarai il padre migliore del mondo, io l’ho sempre saputo».
E rise.
Tutte le paure si sciolsero come cera di una candela esposta al fuoco.
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Di nuovo in bagno
Ed ora quel piccolo nanerottolo era lì, a fare le smorfie, a scimmiottare il suo modello di riferimento. Gran bel modello, se mi è concesso, l’unico disponibile, questo è certo.
Amava moltissimo aggrapparsi al braccio libero del padre, solitamente il destro, e farsi sollevare a mo’ di scimmia su un ramo. Quel gioco scemo lo faceva ridere sempre, ogni volta. Non sapeva che, nonostante tutto, ogni volta che lui rideva, anche il giovane padre tornava bambino e rideva insieme a lui.
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Questa vita non aspetta nessuno, neanche chi ha ancora la forza di immaginare.